R.F. era seduto su una panchina dei giardini pubblici ormai da ore. Stava leggendo un quotidiano locale che il suo precedente proprietario aveva abbandonato lì, dopo aver tagliuzzato via gli annunci funebri. Peccato, erano i suoi preferiti.
Nonostante la vita umana, dal primo respiro fino all’ultima divisione cellulare, durasse il tempo che impiega uno sputo di Dio a raggiungere la Terra, gli uomini riuscivano lo stesso a provare noia. R.F. questo non riusciva a capirlo. Lui sarebbe stato capace di attendere anni per vedere sbocciare l’Amorphophallus titanum, nonostante la sua fioritura duri solo pochi giorni.
R.F. indossava un corpo umano, ma non si era ancora abituato a seccature come la cattiva digestione, il prurito o il formicolio ai piedi. Oltretutto, il suo involucro si stava deteriorando e presto avrebbe avuto bisogno di recuperarne un altro.
Sollevò gli occhi dal giornale e si guardò attorno.
Il parco non era affollato, ma era possibile scorgere anziani che foraggiavano la fauna locale, femmine con i cuccioli al seguito e altri mortali che mettevano a dura prova il loro apparato cardiocircolatorio correndo per i sentieri.
R.F. era bravo a passare inosservato, era la sua specialità. Vestiva sempre con capi scuri, ma poco vistosi. Anche il suo aspetto esteriore era altrettanto anonimo.
Un uomo gli passò davanti in quel momento e, invece di distogliere lo sguardo, come accadeva di solito, gli rivolse una rapida occhiata. Pochi metri più avanti, il malcapitato passante si bloccò e si portò le mani ai lati della testa, come per fermare un imminente attacco di emicrania. A volte, se la traccia di memoria che lo riguardava persisteva, la breve sensazione di malessere poteva trasformarsi in un disagio ben più grave, passando da un ostinato senso di inquietudine fino alla follia psicotica.Mentre il tizio riprendeva la sua strada, R.F. notò che era giovane, sano e di bell’aspetto. Si alzò dalla panchina, si passò sulle labbra la lingua innaturalmente lunga e lo seguì.
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