A otto anni ero convinta di essere speciale perché la luna mi seguiva ovunque andassi.
A quindici anni dovetti ricredermi. Da stella posizionata al centro dell’Universo mi trasformai in una piccola ombra insignificante a cui nessuno sembrava prestare attenzione. A farmi compagnia c’erano però le parole, che trasferivo su carta in forma di favole e poesie, e che poi raccoglievo in un grosso raccoglitore, “il mio Grimorio”. Nessuno era a conoscenza del mio piccolo tesoro. Del resto, come poteva una creatura della consistenza della fuliggine creare storie di un qualche peso.
Un giorno mio padre trovò il raccoglitore e, non trattandosi di documenti per lui importanti, lo svuotò e buttò il contenuto.
Non me ne lamentai. Ma da allora non scrissi più nulla.
Ho trascorso gli anni successivi a studiare e a costruirmi una carriera. Mi sono sposata e, anche se non ho avuto figli, mi prendo spesso cura di due nipoti meravigliosi.
Capitò quasi per gioco che mia sorella mi chiedesse di scrivere una favola per i suoi bambini. Si ricordava che quando era piccola le raccontavo spesso delle storie.
Il racconto piacque molto a Jacopo e a Leonardo. Mi rincorsero per giorni per sapere cosa fosse successo ai miei personaggi, nonostante la storia fosse terminata.
Mi sentii come se qualcuno avesse spalancato le finestre per arieggiare quella stanza che era rimasta chiusa per così tanto tempo da dimenticarmi della sua esistenza.
Ho appena compiuto cinquantacinque anni, e qualcuno mi ha detto che forse sono troppo vecchia per riprendere a scrivere, e che probabilmente sarei morta prima che qualcosa di mio venisse mai pubblicato.
Forse è così, ma se tutti questi anni mi hanno insegnato qualcosa, è che la vita è strana, e ti conduce sempre dove devi essere in quel preciso momento. E adesso sono qui, in un bar affollato a scrivere queste parole in compagnia di una tazza di caffè caldo. La pioggia fuori non accenna a smettere e, attraverso i vetri appannati, osservo le persone che si affrettano per le strade bagnate.
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