Quando un opossum si sente minacciato e non può scappare, entra in uno stato catatonico che assomiglia alla morte. Avevo sempre pensato che l’animale utilizzasse questo sistema di difesa in modo consapevole, ma non è così: si tratta di un comportamento principalmente involontario.
«Claudia, tutto bene?»
La voce dell’infermiera interrompe i miei pensieri. Non l’ho sentita entrare nella stanza e adesso è al mio fianco. Si guarda attorno. La camera è un casino.
Percepisco la sua tensione scorrerle sottopelle, arrivare fino alla bocca per poi ritirarsi, come fa la risacca. Vorrebbe rimproverarmi, lo sento.
«La tua compagna di stanza dice che sei qui in piedi a fissare il vuoto da un sacco di tempo. Si è preoccupata… È tardi, non vuoi prendere qualcosa per dormire?»
L’infermiera, che se non ricordo male si chiama Patrizia, non aspetta che io risponda. Sa che non lo farò. In questi giorni, le parole sono diventate pesanti, mi costa troppa fatica tirarle fuori.
Non mi volto, ma la sento sospirare. Poi, si siede sul bordo del mio letto sfatto.
«Mia nonna diceva sempre che Dio ama il movimento, e che la vita è movimento» sussurra a un tratto l’infermiera.
Perché mi parla di Dio? Io non credo in Dio.
«Solo la morte è statica. La morte è assenza di movimento».
Il cigolio delle molle del materasso mi avvisa che Patrizia si è alzata dal letto.
Mi si avvicina. Ripenso agli opossum: fingersi morti può indurre un predatore a perdere interesse e ad allontanarsi.
«Ti svelerò un segreto» bisbiglia l’infermiera. «Il dolore passa. Passa sempre».
Sento la sua voce che mi entra nella testa come un pensiero.
Forse è come dice lei: il dolore prima o poi finisce. La paura, però, rimane. E se fallisco? Resterò ancora sola…
Patrizia mi prende la mano. Sussulto.
«Facciamo così: rimango qui con te finché non vai a letto». Le dita iniziano a darmi fastidio, come quando si passa da un ambiente molto freddo a uno più caldo. Allora, stringo la mano di Patrizia. Così sento meno male.
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