La panca di legno scricchiola quando Fabio si alza. Qualcuno inizia a recitare il Cantico dei Cantici. Si guarda intorno. Quella è decisamente una delle chiese più tristi e disadorne che abbia mai visto, e lui di chiese se ne intende.
L’altare è talmente spoglio che sembra una tavola autoptica, il cui unico abbellimento è una striminzita tovaglia giallognola, molto simile a un sudario. È quasi grottesco che la sua più grande disfatta coincida con una cerimonia così solenne e gioiosa. Fabio cerca di nascondere il suo stato d’animo dietro un portamento distinto e un atteggiamento indifferente, ma il cantico nuziale non fa che irritarlo, pungolando la sua memoria, che si schiude come un antico sepolcro, portato alla luce dagli scavi di uno zelante archeologo.
Quando era piccolo era convinto che da grande sarebbe diventato un pittore famoso. Trascorreva molto tempo, forse troppo, a sognare un futuro nel quale non avrebbe fatto altro che essere felice. Del resto, quando puoi piegarti tanto da poterti mettere in bocca le dita dei piedi, come fai a non credere di poter realizzare qualsiasi cosa? Non immaginava certo che, una volta adulto, avrebbe rilevato l’azienda del padre, diventando titolare delle pompe funebri “Fossati & Figli”.
La lettura liturgica termina in uno sciabordio di sospiri e gemiti di commozione.
La funzione prosegue, e la voce del prete, monotona e cantilenante, ha su di lui un effetto soporifero. L’omelia si trasforma suo malgrado in una seduta di regressione ipnotica e, per un qualche caparbio istinto masochistico, si trova a rievocare i suoi più grandi fallimenti.
Immagina un podio, tipo quello delle olimpiadi, e si sente abbastanza sicuro di assegnare il terzo posto ai festeggiamenti per il suo diciottesimo compleanno. Dopo aver appeso i festoni nel locale, appositamente affittato per l’occasione, e dopo aver sistemato cibo e bevande sui tavoli da buffet, Fabio aspetta più di un’ora che qualcuno si faccia vivo. Si presentano solo il suo migliore amico Max e due cugini di secondo grado, quest’ultimi invitati in tutta fretta dalla madre per tamponare la piega imbarazzante che ha preso la serata, presagio del disastro che sarà la sua vita sociale futura.
Il secondo posto sul podio non può che essere occupato dal suo epico insuccesso professionale. Il sogno di diventare pittore si è incagliato col tempo tra doveri di famiglia, pigrizia, e un’innata tendenza all’autocommiserazione, così che il suo talento artistico è ora impiegato in maniera molto più proficua nel truccare i defunti e a scegliere le cornici per le foto commemorative.
Finalmente gli sposi si alzano in piedi per la benedizione degli anelli.
Ed eccolo lì, il vincitore: la più grande disfatta, la catastrofe che ha fatto impallidire in confronto ogni altro suo fallimento. L’unica donna che abbia mai amato sta per unirsi in matrimonio con il suo miglior amico, Max. Fabio neanche ricorda come sia riuscito a perdere Elisa.
Ormai non ha più molta importanza.
Gli sposi si guardano e sorridono, mentre Fabio cerca di convincersi che collezionare insuccessi uno dietro l’altro, come a infilare perle in un rosario di sciagure, possa diventare una paradossale forma di ascesi, una nuova forma di onanismo trascendentale.
Da qualche parte ha sentito dire che la vita è una serie infinita di scampati pericoli, ma forse è più simile a un processo di desensibilizzazione a un’agguerrita legione di allergeni, a cui il nostro organismo finisce per abituarsi.
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