A casa c’era sempre un gran chiasso durante il giorno: tre televisioni accese su tre canali diversi, la voce alta di mio padre e quella di mia madre che aveva sempre qualcosa di cui lamentarsi. Ma dopo la mezzanotte tutto si spegneva. Allora, sgattaiolavo in cucina, così da non disturbare il sonno di nessuno. Il più delle volte studiavo o leggevo, ma capitava anche che rimanessi semplicemente seduta in ascolto. Lo scricchiolio dei mobili, il ronzio del frigorifero, lo sfiatare dei caloriferi, tutti quei suoni che venivano coperti dalle attività del giorno, la casa li svelava di notte, come se mi sussurrasse i suoi segreti.

Nella tradizione popolare, la fascia tra la mezzanotte e le tre del mattino è chiamata l’ora del diavolo, il tempo in cui le forze soprannaturali sono più attive. Ma le streghe non mi spaventavano e l’oscurità non mi ha mai impressionato. 

Ancora adesso, a volte, punto la sveglia a tarda notte. Mi alzo e vago nel buio come una clandestina nella mia stessa casa. Immagino di cogliere di sorpresa i fantasmi, o prendere alla sprovvista le ombre che si muovono furtive. Fantastico che gli oggetti si fermino quando entro in una stanza, rimangano immobili in mia presenza, per riprendere vita quando distolgo lo sguardo.

Forse, origliare i suoni della notte e inseguire gli spettri negli angoli più bui, mi ha reso abile nell’arte di ascoltare, e mi ha spinto a fare di quell’ascolto una professione. 

I pazienti vengono da me a raccontare le loro storie e a riportare sintomi e disturbi. Ma le parole sono spesso le stesse, svuotate di significato per l’usura. In genere, non ci presto molta attenzione. Preferisco guardare oltre. Allora, colgo i sospiri di troppo, individuo i lamenti delle mani e interpreto le pause tra una parola sussurrata e un’altra non detta. A volte, ho l’impressione di sentire i loro pensieri, che si muovono frenetici tra le pareti della loro coscienza.


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