Elena torna a casa che è quasi ora di cena. La giornata in ufficio è stata più lunga del solito. La borsa le pesa e i piedi le fanno male. L’appartamento è avvolto nella penombra e c’è odore di chiuso. Si ferma sulla soglia e si guarda intorno: il tavolo e il pavimento della cucina sono disseminati di briciole e residui di cibo. I piatti sporchi sono sul gocciolatoio, accanto al lavello. Michele è sdraiato sul divano, in tuta, con il laptop sulle gambe. Il tavolino è ricoperto di curriculum, sparsi a casaccio. Lui mugugna qualcosa e a stento solleva lo sguardo dallo schermo. 

Elena non dice nulla. Lascia cadere la borsa per terra e si toglie il cappotto. Non sopporta la casa ridotta in quello stato. 

«Novità?» chiede lei, cercando di mantenere un tono distaccato.

Michele si stringe nelle spalle. «Ho mandato un paio di curriculum».

«Un paio?» Elena gli si avvicina e intercetta la schermata di un gioco. Le sembra Fortnite. 

«Sono due mesi che sei a casa» dice, in tono di biasimo. «Mandare un paio di curriculum alla settimana tra una sessione di gioco e l’altra non mi sembra questo grande impegno». 

«Non è così semplice» risponde lui senza scomporsi. «Non voglio accettare il primo lavoro che capita». 

«Almeno smetti di giocare, mentre ti parlo». La voce le esce più alta di quello che avrebbe voluto. Michele chiude il portatile di scatto e si alza dal divano, sovrastandola con i suoi dieci centimetri in più. Rimangono per qualche attimo così, in silenzio. Poi lei si dirige in cucina e inizia a rassettare con movimenti bruschi. Riempie il lavandino con l’acqua calda e aggiunge il detersivo. Ci infila dentro i piatti, sbattendoli l’uno contro l’altro, come se volesse mettere alla prova la loro resistenza. 

Michele la segue, le braccia tese lungo i fianchi. 

«L’abbiamo deciso insieme, ricordi?» Le sue labbra sono così contratte che le parole escono in una specie di sibilo. «Sto cercando qualcosa che valga davvero la pena. Non ho studiato economia per cinque anni per fare il cameriere».

Elena si volta di botto e gli punta addosso un dito grondante di sapone. 

«Certo, ma mentre tu insegui i tuoi sogni, io mi faccio il culo là fuori» sbotta lei, e sposta il dito verso l’ingresso a indicare il mondo che sta oltre la porta e, nel farlo, schizza l’acqua sporca sulla T-shirt di Michele. «Non è stando sdraiato sul divano che trovi un lavoro». 

Lui fa un passo in avanti, la mascella tesa. «Sei ingiusta. Sto davvero cercando».

«La casa è un casino» sbraita lei. «Non hai nemmeno sparecchiato la colazione!»

«Non sono il tuo domestico, cazzo!» esplode lui. Fa un altro passo verso di lei. Elena sente il calore del suo alito sul viso.

«No, sei il mio compagno». La voce le trema. «Dovresti venirmi un po’ incontro, invece di comportarti come un adolescente». Le sfugge un tono sprezzante.

Michele sbatte un pugno sul bancone. «Non ti permetto di trattarmi così. Ho fatto una scelta coraggiosa, io».

«Coraggiosa?» Le esce una risatina amara, stavolta voluta. «Non l’avresti mai fatto senza di me a pararti il culo».

Michele si passa una mano tra i capelli tirandoli indietro con forza. 

«Come credi che mi senta a tornare a casa stanca morta e trovarti a perdere tempo, come se fossi in vacanza?» Nonostante dia le spalle a Michele, Elena sente i suoi occhi trafiggerle la pelle.

«Vado a fare un giro». Il suo tono è tagliente. Lei non si volta. Michele si allontana a passi rapidi. 

Una raffica di colpi dall’ingresso; il frusciare di abiti e il tintinnio delle chiavi. Una lama di freddo la raggiunge quando lui apre la porta e la richiude con un tonfo secco.Elena rimane immobile. Le tremano le mani. Leva il tappo a catenella e l’acqua scorre veloce giù per lo scarico. Residui di cibo restano appiccicati alle pareti bianche del lavandino. 


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