Leo ricordava perfettamente il Giorno del Risveglio. E ricordava anche il caos che lo aveva seguito.
Non accadde per tutti nello stesso istante. Ma, nel giro di sette giorni, cinque miliardi di persone furono in grado di ricordare tutte le loro vite passate.
Ogni ricordo vissuto nelle vite precedenti si fece spazio con prepotenza nell’archivio della memoria di ciascuno: luoghi, tempi, emozioni, e persone; la loro morte, quella dei loro cari, quelle perpetrate e quelle subite. I ricordi arrivarono tutti insieme, e investirono l’umanità come uno tsunami neuronale.
Le conseguenze furono apocalittiche.
Se la Terra fosse stata devastata da un olocausto nucleare, forse i danni sarebbero stati più contenuti.
Caddero governi, il tasso di suicidi schizzò alle stelle, per non parlare delle stragi e degli omicidi.
La maggior parte delle città furono rase al suolo, per vendetta, o per paura.
Quelli che ebbero maggiori difficoltà furono gli adulti e gli anziani. I giovani, soprattutto i più piccoli, avevano ancora una mente plastica e un’anima flessibile, e si dimostrarono maggiormente in grado di gestire tutto quel bagaglio di informazioni che dal nulla si trovarono a dover riorganizzare, per poi conviverci senza perdere il senno.
Leo stava aspettando il suo partner per eseguire l’incarico che era stato loro assegnato. Facevano parte dell’UCT, Unità Crimini Trans-vite, e lui era un agente sul campo. Gli analisti della sua stessa unità si occupavano di mappare le reti di intersezione delle vite passate, attraverso un complicato connubio tra analisi genetica e risonanza magnetica funzionale. Ovviamente, la mappa era incompleta; non tutti erano disponibili a farsi sottoporre a quelle indagini. L’inserimento nella mappa globale prevedeva un piccolo intervento per il posizionamento del modulatore genetico, il MOD. Questa semplice pratica garantiva il controllo dei dati che venivano selezionati all’origine: venivano così filtrate le informazioni, rendendo silenti quelle nocive o inutili, e lasciando attive quelle necessarie e non dolorose. Veniva eseguita un’ulteriore ottimizzazione dei dati al raggiungimento del ventesimo anno di età: a secondo delle necessità della comunità, tenendo anche in conto i desideri del singolo, le esperienze passate e le skill ottenute subivano un ulteriore check. Era così che Leo era riuscito a entrare nell’UCT, facendo fruttare le sue esperienze belliche nei numerosi conflitti, dalle guerre puniche in avanti.
La maggior parte della popolazione mondiale, che contava ormai poco meno di un miliardo di anime, era più che felice di condividere i propri ricordi per poi essere trattati con il MOD, che avrebbe selezionato e ridotto l’immenso e caotico flusso di informazioni al cervello, permettendone una maggior gestione. Ma i “Naturisti”, individui che non si fidavano del governo mondiale, preferivano trovare soluzioni per conto proprio. Erano questi soggetti che andavano a ingrossare le file dei criminali Trans-vita, quelli che usavano le conoscenze passate come armi, allo scopo di perpetrare i più efferati delitti, invece di metterle al servizio del prossimo.
«Ehi, Leo». Una vocina acuta lo chiamò dall’ascensore. «Andiamo a scovare il Vendicatore? Vedrai, stasera lo becchiamo».
Giona lo raggiunse davanti alla porta a vetri dell’uscita della sede dell’UCT. Leo non si era ancora abituato alla voce stridula del compagno, che stonava notevolmente con la figura massiccia del suo aspetto. Quando lo si sentiva parlare, l’impressione era quella di avere davanti un uomo che non aveva mai superato la fase della pubertà.
Salirono su una delle jeep d’ordinanza e attraversarono l’ultima fascia regolare della città. Un’insegna con scritto: “State per uscire dalla zona controllata. Siete liberi di farlo, ma a scapito della vostra incolumità”, segnava il confine del mondo civile. A Leo ricordava la scritta “Hic sunt dracones” delle antiche carte geografiche, usata per indicare le zone inesplorate, così da allertare gli incauti avventurieri del pericolo a cui sarebbero andati incontro se le avessero attraversate.
Provava sempre una certa inquietudine a entrare in quella parte della città. La loro missione consisteva nell’arrestare, o eliminare il Vendicatore, una figura ormai leggendaria che si riteneva essere a capo dei Naturisti. L’ultimo degli innumerevoli avvistamenti lo vedeva rintanato in uno degli edifici di una vecchia area residenziale, ora fatiscente. Probabilmente sarebbe stato l’ennesimo buco nell’acqua. Leo non capiva l’entusiasmo di Giona. A causa di quel tipo di segnalazioni si erano addentrati in quell’inferno in un’infinità di missioni. Non solo non avevano trovato tracce dell’obiettivo, ma avevano rischiato di lasciarci la pelle per la metà delle volte.
Oltrepassato il confine, la luce dei lampioni venne ingoiata dal buio della notte. La luna era nuova, e il bagliore delle stelle non era sufficiente a rischiarare la strada dissestata che stavano percorrendo.
Giona guidava come se stessero andando a una scampagnata, con il finestrino mezzo abbassato e l’aria rilassata di un turista. Mancava solo che mettesse un gomito fuori e fischiettasse un motivetto allegro.
L’UCT faceva in modo che le coppie di partner che lavoravano assieme non avessero vite in comune. Anche se nel corso di altre esistenze erano stati fratelli, amici per la pelle, o amanti, le alte sfere consideravano le relazioni passate, di qualsiasi genere fossero, pericolose: comportavano emotività e sentimenti repressi, condizioni che potevano interferire con il rapporto di lavoro. Nonostante la sicurezza garantita dal MOD, l’UCT preferiva non rischiare.
«Hai sentito di quel tipo che si è fottuto il cervello in quella clinica clandestina?»
La domanda fu così inaspettata che Leo sussultò. «Di che parli?»
«Ma sì, il tipo che è andato in questa clinica per il lavaggio dei ricordi» disse Giona, con quella sua vocetta stridula, e gli rivolse un’occhiata di sguincio.
«No, non so nulla».
In realtà, Leo ne aveva sentite parecchie di quelle storie. Chi andava in quelle cliniche finiva il più delle volte con il cervello bruciato.
«Si è fottuto tutta la memoria» esclamò Giona, senza nascondere un certo compiacimento malevolo. Poi si mise a sghignazzare. La risata gli si bloccò in gola a causa di un colpo di tosse.
«Ehi, amico. Mi passi le pastiglie al mentolo? Sono nel vano portaoggetti». Leo lo aprì e prese la confezione di latta con le mentine. Nel farlo, intravide un tirapugni di metallo e una pistola fuori ordinanza.
«Non si sa mai, amico» disse Giona, dando voce alle sue perplessità.
A Leo non piaceva quando lo chiamava “amico”, erano tutto fuorché amici. Si frequentavano solo sul lavoro, durante gli incarichi. E a lui Giona non piaceva. Era grossolano, superficiale e aveva la mano pesante, sia durante gli arresti che in corso di interrogatori.
«Certo. Non si sa mai» gli fece eco lui, e si voltò a guardare fuori dal finestrino, sperando così di scoraggiare qualsiasi altro tentativo di conversazione.
Non c’era in giro nessuno. Il rumore del motore e la luce degli abbaglianti dovevano aver allertato qualsiasi forma di vita, sempre che ce ne fosse.
A un incrocio, dove il semaforo era stato divelto, curvarono a destra. Un grosso cartellone che pubblicizzava il progetto ENCODE era stato fatto a pezzi, e i brandelli di carta ingiallita dal tempo penzolavano come lenzuola sudicie. Dovevano essere stati i Naturisti a farlo. Erano convinti, e non a torto, che gli scienziati del progetto sullo studio del genoma umano fossero la causa di tutto. La scoperta che le regioni silenti del DNA, chiamate anche “DNA spazzatura”, fossero in realtà sequenze di geni dormienti, era stata l’inizio di ogni cosa. In seguito, crearono un siero che attivava questi geni, ritenuti marcatori genetici adibiti alla conservazione di informazioni mnemoniche importanti per l’evoluzione umana. Si riteneva che fossero anche alla base della longevità. Accorsero in massa a farsi trattare con l’EverMind, il siero della giovinezza. E funzionò: riduzione drastica di tutte le malattie legate alla senilità, rallentamento impressionante dell’invecchiamento cellulare e incremento delle performance cognitive.
Tuttavia, non avevano fatto i conti con i virus.
La prima influenza virale aggirò la modulazione di questi geni, innescando una serie di eventi a cascata e attivando connessioni neuronali precedentemente inaccessibili.
E poi ci fu il Risveglio.
«Eccolo» esclamò Giona, con l’entusiasmo di un bambino che va al Lunapark e si illumina a vedere le luci accese delle giostre. L’edificio in cui si sarebbe nascosto il Vendicatore era una vecchia biblioteca, una costruzione che qualcuno aveva fatto esplodere parecchi anni prima, probabilmente i Naturisti che sostenevano la pericolosità di libri di storia scritti da uomini che la storia non l’avevano vissuta, o quanto meno non se la ricordavano, e che era stata quindi riportata in maniera edulcorata, se non completamente falsata.
Leo vide Giona che recuperava la vecchia pistola automatica e il tirapugni.
Non si sa mai, pensò Leo mentre regolava la sua arma sulla modalità di stordimento.
Sigillarono l’auto blindata sotto la cupola di protezione energetica, impugnarono i rispettivi SonicBlaster e attivarono il visore termico multispettrale. Si diressero verso la costruzione, con Giona a controllare il settore frontale, e Leo a coprire le spalle. La porta era stata divelta dall’interno. Una volta entrati, Giona gli fece segno di rimanere sul piano, mentre lui sarebbe sceso nel seminterrato. Sempre gesticolando, Leo gli fece capire che era una pessima idea separarsi. Oltretutto, si trattava di un’azione contraria al protocollo, ma come al solito Giona faceva di testa sua. Più volte aveva tollerato l’insubordinazione del compagno, evitando di fare rapporto e incrinare così un’intesa di base già precaria. Giona batté il dito sugli auricolari tattici di un orecchio per segnalargli che si sarebbero mantenuti in contatto. Leo sospirò e si addentrò nella grande sala d’ingresso. Perlustrò ogni aula del piano, mentre ascoltava il partner fare commenti idioti ogni volta che si imbatteva in un roditore, o in qualche cadavere mummificato.
Il contatto della canna gelida di una pistola sulla sua pelle gli bloccò il respiro. Qualcuno gliel’aveva appoggiata alla base del collo. Non fece in tempo ad allertare Giona che l’aggressore gli strappò gli auricolari che caddero a terra sibilando.
«Se fai un solo movimento, giuro che ti faccio saltare la testa». La voce era quella di una donna. Il tono era fermo e sicuro. «Passami il blaster con una sola mano e tieni l’altra sollevata così che la possa vedere».
Non poteva farlo. Come da protocollo, avrebbe dovuto fare di tutto per evitare di lasciare in mano a quei selvaggi una delle loro armi. Il blaster era impostato sulla modalità di emettitore di onde sonore, così avrebbe potuto stordirla senza ucciderla. Si maledisse per essersi fatto sorprendere come un pivello, e si girò di scatto per colpirla. Ma la donna fu più veloce di lui. Il tempo di formulare il pensiero successivo, e il mondo sparì.
La prima cosa che vide quando riprese i sensi furono le fascette di plastica che gli stringevano i polsi e le caviglie. Non sapeva quanto tempo fosse rimasto incosciente, ma sentiva le mani e i piedi intorpiditi. Sollevò lo sguardo, e la vide.
Non poteva avere più di venticinque anni. Era bassa di statura, e minuta. Si vergognò per un attimo all’idea di essere stato atterrato da una ragazzina che era la metà di lui.
«Te ne farai una ragione, l’umiliazione prima o poi passa» disse lei, dando voce ai suoi pensieri. Poi, si voltò in direzione dello spazio oltre il muro dietro il quale era nascosta. Probabilmente era in attesa di Giona, che sarebbe accorso a salvarlo. E lui avrebbe fatto da esca.
«Sei tu il Vendicatore?»
Secondo i dati che avevano raccolto, si trattava di un individuo molto pericoloso, a capo dei Naturisti che volevano sovvertire l’attuale governo. Lo avevano chiamato il Vendicatore perché aveva ucciso, uno alla volta, tutti gli scienziati che avevano lavorato al progetto ENCODE, a partire dai pochi fondatori ancora in vita. Leo non si sarebbe mai aspettato di trovarsi di fronte a una ragazzina.
«Non sono una ragazzina» specificò lei dopo avergli rivolto una rapida occhiata.
«Leggi il pensiero?» domandò lui, sentendosi immediatamente stupido.
La ragazza ridacchiò in risposta.
«Non è necessario leggere la mente per capire cosa ti passa per la testa» disse, mantenendo un mezzo sorrisetto. Impugnava il suo blaster d’ordinanza e, dalla spia rossa accesa, capì che era al massimo della modalità “inibitore neurale”. Avrebbe fritto il cervello di Giona, e poi probabilmente anche il suo.
«Sono vissuta come agente del KGB, e diverse vite le ho trascorse come guerriero in parecchi conflitti, sia prima che dopo Cristo. Sono stata anche un cecchino nelle Forze Speciali americane, quindi con le armi e il corpo a corpo me la cavo piuttosto bene. Questo per dirti che non sono proprio una “ragazzina”» puntualizzò lei in tono di scherno.
«A cosa ti serve ucciderli tutti?» se ne uscì lui. Non sapeva perché lo avesse chiesto. Non avrebbe dovuto interessargli, il suo compito era solo quello di neutralizzarla. Catturarla, per portarla viva all’UCT, non era indispensabile.
«A cosa mi serve?» gli fece eco lei, e abbozzò un sorriso storto. «A niente».
«Non capisco». Leo provò a cambiare posizione, ma le fascette così strette gli lasciano poco margine di movimento.
«Non c’è nulla da capire» mormorò lei. A Leo sembrò di percepire una nota di tristezza e rassegnazione nella sua voce. La ragazza rimase in silenzio per qualche istante, tanto che Leo pensò che non avrebbe più detto altro.
«Abbiamo fatto esperienza di tutti i vissuti possibili» riprese lei in tono inespressivo. «Abbiamo provato ogni emozione e sentimento che la nostra anima era in grado di esperire. E questo ha portato alla saggezza? A una maggiore comprensione dell’esperienza umana?» A questo punto la sua voce si inasprì. «No, ha solo fornito all’uomo ulteriori motivi per odiarsi e una più ampia varietà di modi per ammazzarsi».
«E tu non stai facendo lo stesso?»
«No» rispose lei in tono asciutto, «io faccio pulizia».
«Non cambia il fatto che sei un’assassina».
La ragazza non commentò. Rimase ferma, in attesa.
«Se tutta la tua conoscenza ti porta solo amarezza e rabbia, perché non assumi il MOD? Così potresti selezionare i ricordi a tuo piacimento».
«Perché è una bugia, idiota». Aveva assunto un’espressione di disgusto. Si doveva essere resa conto di aver perso il controllo, perché si raddrizzò nella sua posizione. Poi riprese a fissare lo sguardo nello specchietto che teneva in una mano e in cui si rifletteva il corridoio davanti.
«Non dire assurdità».
In risposta, la ragazza fece uno sbuffo sprezzante facendo roteare gli occhi. Leo non capiva. C’era già stata abbastanza distruzione. Perché tutto quell’odio?
«Sei tu che spari cazzate, soldato» disse lei a bassa voce. «Credi veramente di avere avuto una scelta? Chi ti garantisce che la modulazione è stata effettivamente come l’avevi progettata e richiesta tu?» Fece un altro sorrisetto sarcastico. «Dalla ricevuta cartacea che gli stessi operatori ti hanno consegnato dopo il lavaggio del cervello? Sei un ingenuo».
Leo non voleva neanche pensare a quell’eventualità.
«Tu pensi che io sia il Vendicatore, vero?» domandò la ragazza dopo qualche attimo dii silenzio.
«Perché? Non lo sei?»
Un’esplosione improvvisa fece saltare il pavimento in mezzo al corridoio. Leo si coprì la testa con le braccia legate e si raggomitolò su sé stesso per evitare le schegge. La granata aveva abbattuto gran parte del muro, che si era frantumato, cadendo sulla ragazza. La polvere sollevata dalla detonazione non gli permetteva di mettere a fuoco la scena, ma vide Giona che correva nella sua direzione. Si fermò davanti a lui e gli rivolse un’espressione di trionfo. Si riprese subito dall’autocompiacimento e si mise a cercare il corpo della ragazza in mezzo alle macerie usando la canna del blaster.
Leo riuscì a rimettersi seduto a fatica. Iniziò a tossire per il pulviscolo che saturava l’aria.
«Eccola, la stronza!» esultò Giona, mentre estraeva dal retro dei pantaloni la pistola automatica per poi puntarla contro di lei.
Diverse schegge di ferro le si erano conficcate nell’addome. La ragazza si premeva le ferite con le mani nel tentativo di fermare il sangue. Non sembrava per niente spaventata. Sollevò lo sguardo sul suo aguzzino e lo guardò con disprezzo, poi gli sputò addosso.
Prima che Giona premesse il grilletto, la ragazza si voltò verso Leo. Aveva ancora le labbra tirate in un mezzo sorriso.
«Ci rivediamo alla prossima vita».
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