I rumori provenienti dalla cucina la svegliarono.
Suo marito sarebbe dovuto rientrare dal viaggio di lavoro entro la mezzanotte. Alice guardò l’ora sul cellulare. Erano quasi le cinque. Fuori era ancora buio.
Marco doveva aver avuto qualche imprevisto, a volte capitava che non rispettasse gli orari.
Alice si alzò, si mise la vestaglia e uscì dalla camera da letto.
La luce accesa in cucina illuminava l’ingresso. Le scarpe infangate sul pavimento e il cappotto appeso di sbieco, sul punto di cadere. Sospirò. Avrebbe sistemato dopo.
Marco era seduto al tavolo con una tazza di caffè in mano, con l’aspetto dimesso e l’aria assorta.
«Ciao, tutto bene?» chiese lei avvicinandosi.
Lui non rispose. La camicia bianca era sgualcita e la cravatta allentata. La giacca del completo era rovesciata sullo schienale di una sedia, capovolta, con la fodera che fuoriusciva dalla manica interna. Le ricordò un’ansa intestinale erniata, lucida e tesa. L’aveva vista in un’immagine su un libro di anatomia, di quelli che studiava Leo alla Facoltà di Medicina.
Alice si sedette dalla parte opposta del tavolo.
«Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa?»
Marco sollevò la testa, frastornato.
«Ah, scusa. Ero sovrappensiero». Si portò la tazza alla bocca e fece una smorfia di disapprovazione. Il caffè doveva essersi raffreddato.
«Come è andata?» chiese Alice stringendosi nella vestaglia. A quell’ora i caloriferi erano spenti.
«Ti ricordi quella volta a Ponte di Legno? Stavamo insieme solo da qualche mese».
«Eh? Sì… Ma cosa c’entra?».
Alice se ne ricordava bene. Nevicava, e sul tragitto si erano dovuti fermare a mettere le catene.
«Sono venuto a prenderti a casa e, mentre tu ti preparavi, io… io ho rovistato nella tua posta».
«Ma di cosa stai parlando?»
«Il tuo ex fidanzato, Filippo, si era trasferito da poco a Firenze. Avevi detto che tra voi era finita, ma io sapevo che provavi ancora qualcosa per lui» disse in un fiato.
Filippo l’aveva lasciata all’improvviso, senza dire una parola. C’erano voluti anni prima che il suo ricordo smettesse di farle male. In seguito, qualche tempo dopo il suo matrimonio, aveva saputo che anche lui si era sistemato. La figlia adesso doveva avere più o meno l’età di Leo.
«È successo tanto tempo fa…»
«Vidi una sua lettera tra le buste sparse sul mobile dell’ingresso». Marco si tirò indietro i capelli con un gesto brusco della mano. «E l’ho presa». Poi sollevò lo sguardo nella sua direzione. Aveva gli occhi lucidi.
«L’ho tenuta con me per tutta la vacanza. Mi sono sentito un tale stronzo». Marco incurvò la schiena e abbassò la testa, ritornando nella posizione in cui lei lo aveva trovato. «Volevo dartela, giuro. Ma più il tempo passava, più avevo paura. Temevo che se te lo avessi confessato mi avresti lasciato».
Lei non commentò. Rimasero in silenzio per qualche secondo. Il rumore del camion dell’AMSA fuori dalla finestra la scosse dal torpore.
Alice si chiese se chi muore assiderato inizi con il perdere del tutto la sensibilità, finendo per non percepire più il proprio corpo.
«L’ho letta» mormorò Marco. «Filippo scriveva che voleva rivederti, che gli mancavi. Voleva tornare con te. C’era anche il suo nuovo indirizzo e il numero di telefono».
Sì, sì, pensò Alice, il ridotto afflusso di sangue alle estremità poteva dare una sensazione di formicolio, o bruciore, all’inizio. Ma poi finivi per non sentire più le dita delle mani e dei piedi.
«Tu eri stata bene durante quella vacanza» disse Marco, appoggiando le braccia sul tavolo in un gesto impacciato. «Nei mesi successivi ero terrorizzato che lui ti scrivesse ancora, o che provasse a chiamarti. Ma non lo ha fatto». Suo marito rimarcò l’ultima frase, come se il silenzio di Filippo, che aveva fatto seguito a quell’unica lettera, avesse chiuso la questione.
«Mi spiace, Alice» sussurrò Marco prendendosi la testa tra le mani. «Avrei dovuto dirtelo, lo so. Sono stato egoista. È che non volevo perderti».
«Qui dentro si gela» disse lei, alzandosi dalla sedia. «Vado a vestirmi».
Lascia un commento