Arianna e Luca si sono trasferiti nel nuovo appartamento da ormai due mesi, ma non riescono ancora a trovare il tempo per sistemare le ultime cose. Si sono occupati delle tende, delle prese e dei punti luci, ma mancano le ultime rifiniture.
Lei lavora a casa, e se c’è disordine, o non trova la sua tazza porta fortuna per la dose quotidiana di caffeina, non riesce a concentrarsi. Mentre le altre stanze sono già arredate e funzionali, la zona dell’ingresso è ancora in alto mare. Qualche scatolone è impilato vicino alla porta e c’è polvere dappertutto. È l’unico locale ad avere ancora la tappezzeria, ed è orrenda, con motivi floreali di colore verde marcio. Arianna vuole toglierla e imbiancare tutto. Senza neanche una finestra, quel posto è davvero buio e triste. Una bella passata di bianco aiuterebbe a rendere più luminosa la stanza, e una plafoniera abbastanza grande, di quelle a soffitto, avrebbe fatto il resto.
Nel fine settimana trovano il tempo per occuparsene.
Lei e Luca hanno bagnato la tappezzeria con acqua calda e aceto. Ora la stanno levando con le spatole. Li attende un lavoraccio.
«Ehi, guarda qui».
Arianna appoggia la spatola accanto al secchio e raggiunge Luca. «Che c’è?»
«Guarda» ripete lui, e le indica uno specchio a parete ancora mezzo coperto dalla carta da parati.
Lei ci passa sopra una mano. «Che strano… Perché mai l’avrebbero nascosto?»
Luca si stringe nelle spalle. «Che dici? Lo teniamo?»
Arianna fa un passo indietro. Lo specchio è grande, occupa metà del muro accanto alla porta, e riflette il soggiorno alle loro spalle.
«Perché no? Aiuta a rendere lo spazio più ampio e luminoso».
«Andata» esclama Luca, e riprende il lavoro.
Ci impiegano qualche settimana, ma alla fine l’appartamento è completo. Niente più scatoloni in giro e lei può concentrarsi sulla revisione del suo libro.
Una notte Arianna si alza per andare in bagno. D’un tratto sente un rumore provenire dal soggiorno. Accende la luce e dà un’occhiata in giro. Non nota nulla di strano. Probabilmente si tratta di qualche vicino. Gli edifici condominiali ormai hanno le pareti talmente sottili che si sente ogni cosa. Sta per tornare a letto quando si ripresenta quel rumore. Sembra quello che potrebbe fare un animale che graffia su una porta. Lo stesso che faceva Axel quando i suoi si dimenticavano di farlo entrare in casa e rimaneva chiuso fuori.
Loro però non hanno animali.
Arianna segue il suono fino all’ingresso. Accende la luce e guarda attraverso lo spioncino della porta. Non c’è nessuno. Rimane in ascolto qualche secondo. Non lo sente più.
Si stringe nel pigiama. Improvvisamente sente freddo. Fa per tornare in camera e passa davanti allo specchio. Con la coda dell’occhio le sembra di vedere un’ombra. Si ferma e si volta verso la sua immagine riflessa. La luce giallognola della lampada la fa sembrare stanca in volto. Sta per andarsene quando scorge nello specchio qualcosa di scuro che scatta dietro il divano alle sue spalle. Si tratta di un flash, a malapena lo ha visto. Magari è entrato in casa un animale…
Accende tutte le luci e perlustra il salotto.
Niente. Deve esserselo immaginato.
Fa un ultimo controllo della porta e si ferma di nuovo davanti allo specchio. Nota una piccola infrazione sulla superfice, così minuscola che è incredibile se ne sia accorta. Assomiglia a una di quelle microfratture sul parabrezza delle auto, che non noti finché non si irradia dovunque a mo’ di ferita e sei costretta a cambiare il vetro. Arianna ci mette sopra il dito, la consistenza è ruvida. Una fitta di dolore e ritrae il dito. Una piccola sferetta di sangue si è formata sulla punta del polpastrello, un po’ ne è rimasto anche sulla specchio. Si porta il dito alle labbra, intanto con l’altra mano cerca il suo fazzoletto di carta in tasca. Impreca sottovoce mentre preme la carta sull’incrinatura. Tampona una, due, tre volte, poi la superfice cede sotto il suo tocco. Non fa in tempo a ritrarre la mano che viene risucchiata all’interno. In un attimo ha il volto schiacciato contro una superfice gelida, come se lo avesse immerso in uno stagno ghiacciato. D’istinto chiude gli occhi. Non riesce a muoversi. Non sente più il suo corpo e i suoni attorno sono ovattati, come se si trovasse sott’acqua, ma sente l’aria gonfiarle i polmoni. Poi, solleva le palpebre.
È stesa per terra, con il viso adeso al pavimento di marmo. Le luci sono spente. Si tira su e si mette seduta. Il dito non sanguina più, e non trova il fazzoletto di carta. A fatica si rimette in piedi. È esausta. Forse è svenuta, o forse si è trattato di un sogno. Magari è diventata sonnambula. Sorride all’idea.
Accende la luce e controlla lo specchio passandoci sopra la mano, là dove c’era la scheggiatura puntiforme la superfice è intatta. Adesso è troppo stanca per pensarci. Spegne la luce, si dirige in camera e va a letto.
«Arianna, svegliati». La voce di Luca le arriva dalla cabina armadio.
Si stropiccia gli occhi, si mette seduta e si appoggia contro la tastiera del letto. Luca sta ravanando tra le maglie impilate sulle mensole. La sua parte del letto è intatta.
«Non hai dormito qui stanotte?» chiede lei con la voce impastata.
«Ma sei fuori? Hai ripreso a bere?» Il tono di voce è brusco, come se fosse arrabbiato con lei. «Sono in ritardo, dai da mangiare a Rebecca che la sua ciotola è vuota» continua lui, sempre più irritato.
«Chi?»
In fondo al letto è acciambellato un gatto. Non se ne intende molto, ma dall’aspetto sembra un siamese. Ha il collarino con la targhetta appesa.
«Di chi è quel gatto?»
Luca borbotta imprecazioni e alla fine sembra trovare quello che cerca.
«Di che parli? Sono in ritardo» ripete lui. «Non ho tempo per gli scherzi» e si infila una polo nera, chiude la porticina dalla cabina armadio e si affretta a uscire dalla stanza.
«Luca!»
«Ci vediamo stasera. Devo tornare a prendere delle cose» le urla lui dall’ingresso. La porta si chiude in un tonfo.
Arianna rimane immobile a fissare il gatto.
Ha la testa confusa. Ricorda di essere svenuta la notte prima. Forse ha picchiato la testa.
Si alza per andare in cucina e Rebecca la segue. C’è una ciotola a fianco del frigorifero ed è vuota. Apre le mensole per cercare il caffè e trova diverse bustine di umido per gatti e delle crocchette.
«Ma che diavolo…» borbotta tra sé. Riempie la ciotola e Rebecca ci si fionda sopra.
Magari è il gatto del vicino e stamattina presto lo ha consegnato a Luca per prendersene cura. Decide di accantonare il problema Rebecca. Beve il caffè, si lava, si veste e si mette davanti al suo pc. Una volta acceso, si rende conto che la cartella con gli appunti e quella con la prima stesura del libro non ci sono. Le prende il panico. Possibile che sia sparito tutto?
Guarda la cronologia per recuperare il materiale su cui ha lavorato l’ultima volta. Trova qualcosa salvato nel pomeriggio di ieri. Ci sta, pensa Arianna, di solito termina di lavorare prima di cena.
Il manoscritto non corrisponde al suo libro. Anche il titolo è diverso. Il suo romanzo si intitola… Si intitola… Cazzo, come diavolo si intitola?
Scorre i capitoli del libro che non ricorda di avere scritto. Non riconosce nulla. Il file ha lo stesso nome del romanzo: “Inganno”, e apparentemente l’ha scritto lei.
Come è possibile? Non ci si può dimenticare di avere scritto un intero libro. Forse il trauma cranico per la caduta della notte prima le ha cancellato parte dei suoi ricordi?
Legge qualcosa qua e là, sembra un horror… Lo stile è il suo, ma lei non scrive horror, o sì? Ci deve essere un errore. Se solo riuscisse a ricordare…
Prende il cellulare e chiama il suo agente.
«Ciao Linda, ti disturbo?»
«Ciao, cara, sto uscendo, ma ho qualche minuto. Dimmi».
«Senti… hai ricevuto la prima stesura del mio romanzo?»
«Ma certo, cara» pigola lei.
«E…?»
«Ma, tesoro, ci siamo sentite ieri». Si sente un suono sommesso, Linda sta ridendo. «Certo che voi scrittori avete sempre bisogno di continue conferme» dice, e trattiene un’altra risatina. «Ti ho già detto che mi piace un casino, è il tuo horror più riuscito».
«Parli di “Inganno”?»
«Certo, di che altro? Il manoscritto che mi hai mandato. La parte dello specchio è fantastica. Sì, magari non particolarmente originale, ma chi se ne frega. L’importante è che funzioni».
«Ma Linda io…» Si sentono dei rumori in sottofondo.
«Scusa, cara, ora devo proprio andare. Bacioni» dice in un fiato, e chiude la comunicazione.
Arianna fissa un punto sullo schermo nero del pc, nel frattempo si è attivato lo screensaver.
Forse sto impazzendo, pensa tra sé, forse dovrei andare al pronto soccorso.
Ma lei si sente bene, non ha mal di testa, nessun dolore, è il resto del mondo che sta andando in malora.
Decide di ignorare il romanzo che non ha mai scritto, e il gatto che non ha mai avuto. Ne approfitta per dare una sistemata alla casa. Nel farlo, nota oggetti che non ricorda di aver comprato e piccoli particolari dell’appartamento che nell’insieme lo hanno trasformato in qualcos’altro. È sicura che la parete del bagno fosse di un altro colore. Il copriletto ha fantasie diverse da quelle originali, e la maggior parte dell’arredamento non riflette il suo solito gusto, è tutto un po’ troppo… umbratile. La sua tazza preferita, con la scritta “Oggi ZERO sbatti”, è stata sostituita da un’altra, di colore nero, con i caratteri rossi che ammiccano “Keep talking. I need new victims”. Tutte quelle discrepanze la rendono inquieta. Comincia a temere di avere una qualche forma giovanile di demenza, oppure sta impazzendo.
Dopo averlo evitato per tutto il giorno, decide di andare allo specchio.
Fino a ieri sera le cose funzionavano alla perfezione, poi è svenuta, e il mondo è andato sottosopra. Deve essere successo qualcosa con lo specchio, ormai non ha più dubbi.
Ci si mette davanti, a un passo di distanza. Nella sua immagine riflessa gli abiti che indossa sono gli stessi e i capelli sono tirati dietro alla nuca con un fermaglio. Il suo aspetto è lo stesso di sempre, eppure…
Nello specchio, i cuscini sul divano sono a righe marroni e beige, sono quelli che ha scelto lei all’Ikea mesi fa, ma quando si volta, quelli sul sofà sono di colore diverso, non sono gli stessi cuscini riflessi nello specchio. Si concentra su di sé. Ha l’aria stanca, le labbra sono secche. Forse non si è idratata abbastanza, magari è per questo che si sente così strana. D’un tratto, la testa della sua immagine speculare si piega di lato, e le sorride.
Lei fa un balzo indietro. L’altra non si muove.
Arianna si porta le mani al viso e urla. Quell’altra scoppia a ridere, una risata maligna. Non è la sua. Indietreggia. Inciampa nel gatto dietro di lei, che nello specchio non si vede, e cade. Rebecca tira un miagolio stridulo, le soffia contro e scappa. L’altra ha smesso di ridere e la fissa con un’espressione di trionfo. Arianna arretra carponi sul pavimento e raggiunge il soggiorno, poi si alza e corre in camera. Cerca sulla cassettiera la scatola dei medicinali, ha bisogno di un calmante. Mentre sposta oggetti che non riconosce, e portafotografie con stampe che mostrano momenti della sua vita che non ricorda di aver vissuto, lo sguardo le cade su una pila di documenti. In fondo alla prima pagina, spiccano la sua firma e quella di Luca. Sono le pratiche di divorzio.
Un masso le si posa sul torace e per un attimo le manca il respiro. Afferra i fogli e li scorre veloce. Sono proprio le loro firme, e la data è quella di qualche giorno prima.
«Non ci posso credere» borbotta tra sé. «È un incubo. Ti prego, fai che sto sognando» implora in un sussurro, mentre le lacrime le appannano la vista. «Non può essere. Non può essere. Sto impazzendo».
Afferra il cellulare e chiama Luca.
«Che c’è? Sto lavorando…» esordisce lui senza neanche salutarla, è evidente che è scocciato.
«Scusa, ma io… Non capisco».
«Cos’è che non capisci? Sei ubriaca?»
«No, no» risponde lei. Perché Luca continua a insinuare che sia ubriaca, è sempre stata astemia. «È che ho trovato i documenti del divorzio, ma io—»
«Cazzo! Arianna, ne abbiamo già parlato. Li hai anche firmati. Mi sembrava che la faccenda fosse ormai chiusa».
«Ma io… io ti amo».
«Ti prego, non complicare ulteriormente le cose. Mi sto organizzando nel nuovo appartamento con Sara. Stasera vengo a prendere le ultime cose».
«Sara? La tua collega? Hai una relazione con quella…»
«Senti, ne ho abbastanza di te e delle tue stronzate. Devo andare adesso. Ci vediamo stasera».
Rimane per diversi secondi con il cellulare in mano, a fissare lo schermo con l’immagine di Rebecca come sfondo. Solleva lo sguardo e scorre le fotografie sul ripiano del mobile. La colpisce una foto di sua madre abbracciata a un uomo, ma non è suo padre. Ce ne sono altre. Gente che non riconosce. Perfino quella del suo matrimonio le è estranea. Lei e Luca in posa con abiti civili davanti al comune, ma lei ricorda di essersi sposata in chiesa…
L’incredulità si trasforma in disperazione e comincia a gridare. Urla stridule, isteriche. Si tiene la testa tra le mani e preme, come se quel gesto potesse rimettere a posto ogni cosa, nella realtà di fuori, o dentro di sé, non lo sa più. Scoppia a piangere. È colpa dello specchio, si dice, quel maledetto specchio. Le ha fatto qualcosa… Comincia a iperventilare, si irrigidisce tutta, si lascia sfuggire un gemito di frustrazione e poi corre all’ingresso.
«È colpa tua!» grida contro la sua immagine riflessa, mentre quella la osserva con un sorriso storto sulle labbra.
Forse se lo fa in mille pezzi, avrà indietro la sua vita. La sua vera vita. Quella in cui era felice.
Afferra un soprammobile, uno dei tanti che non ricorda di aver mai comprato, e lo scaglia contro lo specchio. Intanto l’altra è ancora lì, in piedi, e continua a guardarla, deridendola.
Arianna la colpisce, la colpisce ancora, e poi ancora.
«Tesoro, questo appartamento è bellissimo». Aurora saltella verso il salotto e gira su sé stessa, come fosse una bambina entrata nel paese dei balocchi.
Tommaso la guarda, vederla così felice gli riempie il cuore.
«Come mai è rimasto invenduto per così tanto tempo?» chiede lui all’agente immobiliare.
«È per via dei precedenti inquilini. Ha presente la scrittrice, Arianna Nasso?»
«Sì, ha scritto quel famoso romanzo horror… Si intitolava “Inganno”, mi pare, giusto? Non mi dica che ha abitato qui?»
«Sì, proprio lei» dice quello dell’agenzia, in tono lugubre. «È stata trovata morta proprio qui davanti a questo specchio in una pozza di sangue» e lo indica con un cenno del mento. «Era piena di tagli dovunque».
«Ricordo di aver letto che si è trattato di suicidio».
«Sì, alla fine hanno concluso si fosse trattato di un suicidio. La porta era chiusa dall’interno. Era sola nell’appartamento. Anche se alcuni tagli non si spiega come se li sia procurati da sola…»
«Già, è incredibile cosa riesca a fare la gente quando è disperata».
«Per diverso tempo nessuno ha voluto saperne di questa casa. Pensavano tutti fosse maledetta» continua l’agente immobiliare.
Nel frattempo, Aurora gli è corsa incontro. Lo abbraccia, regalandogli uno dei suoi splendidi sorrisi.
«Tommaso, dimmi che la prendiamo? Ti prego, ti prego…» cinguetta lei, arricciando le labbra. Quando lo guarda così non sa proprio resisterle.
«Certo, tesoro, tutto quello che vuoi».
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