Pensieri e Parole

Fabio dovette recuperare il suo vecchio orologio analogico prima di uscire. La tempesta solare di quel pomeriggio era stata così forte che aveva messo fuori uso tutti gli apparecchi elettronici. La batteria del suo cellulare aveva ancora un po’ di carica, ma non si fidava. 

Nessuna connessione per tutto il giorno: niente internet, niente social e niente lavoro. Aveva dormito gran parte del pomeriggio e ora si stava recando a una cena con i suoi amici. Non male come giornata, pensò lui, sorridendo tra sé.

Attraversò un incrocio facendo più attenzione del solito. Il semaforo era in tilt. Poco più avanti notò un assembramento di persone e delle auto ferme. Immaginò ci fosse stato un incidente. Proseguì lungo il marciapiede senza fermarsi, si trattava di una passeggiata di venti minuti da casa sua al ristorante. 

Intravide la senza tetto che di solito chiedeva l’elemosina vicino al discount. Aveva della moneta in tasca di cui voleva liberarsi. Si avvicinò alla barbona mentre quella teneva il capo chino come se stesse dormendo, e versò i pochi centesimi nel bicchiere di carta. La donna sollevò il viso e lo guardò dritto negli occhi. Un leggero pizzicore gli percorse il cuoio capelluto, un po’ come quando ti si rizzano i capelli per l’elettricità statica. 

Sei il solito pezzente, sentì nella sua testa. Mica vai in rovina se per una volta sganci qualche euro invece di questa miseria.

Fabio si ritrasse di scatto e si guardò intorno. La donna non aveva aperto bocca, doveva essere stato qualcun altro a parlare. Ma a parte la barbona, non c’era nessuno in giro. 

Guardò di nuovo la senzatetto.

Sì, bravo. Ci sei arrivato adesso? Di nuovo quella voce. 

Fece qualche passo indietro e la fissò stranito per qualche istante. Poi si allontanò di corsa, riprendendo il percorso. A una cinquantina di metri di distanza si voltò. La barbona era ancora seduta fuori dal negozio. Aveva abbassato di nuovo la testa, incassata tra le ginocchia piegate.

Forse era stata un’illusione, o l’effetto residuo della canna che aveva fumato dopo pranzo. Doveva ritornare al suo vecchio pusher, Giacomo era poco affidabile.

Riprese a camminare. Si rese conto che le strade erano deserte. Le uniche persone che aveva incontrato erano state quelle accalcate all’incrocio per l’incidente, fatta eccezione per la senzatetto. A quell’ora la città avrebbe dovuto brulicare di milanesi che sciamavano verso i locali per l’aperitivo. 

Raggiunse finalmente il ristorante. 

Una volta entrato, non fece in tempo a chiudere la porta dietro di sé che una cacofonia di parole gli investì il cervello. Tutto quel vociare lo travolse con una tale forza che temette di perdere i sensi. 

Diverse persone stavano litigando. Una donna accusava un’altra di essersi scopata il marito; un cameriere minacciava il proprietario; un tizio stringeva le mani intorno al collo di un altro; alcuni bambini ridevano in mezzo al locale, e altri piangevano. 

Ma la gente non stava parlando, emetteva solo versi animaleschi, come ringhi, gemiti, o risate isteriche. Il caos era solo nella testa di Fabio. I loro pensieri si insediavano nella sua mente con tale prepotenza da non riuscire più a distinguerli dai propri. 

Scorse il suo amico Marco. Era seduto su un divanetto e seguiva sconsolato quello che gli accadeva intorno. Nel marasma generale Fabio riconobbe la voce del suo amico.

Come faccio adesso? si interrogava Marco, mentre scuoteva la testa con aria afflitta. Non posso fare a meno di lei

Poveraccio, pensò lui mentre lo guardava, mi fa quasi pena. 

Marco era un pezzo di pane, ma non brillava certo in acume. Mentre era via per un viaggio di lavoro, Fabio e sua moglie avevano avuto una storia, niente di speciale, solo una piccola parentesi. Lei però lo aveva cercato in maniera insistente anche quando l’amico era tornato.

D’un tratto gli occhi di Marco si posarono su di lui e la sua espressione virò in pochi secondi dalla tristezza alla rabbia.

Bastardo! Ti ammazzo, sentì nella testa poco prima che Marco gli si avventasse contro. 


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