Daniela legge nella penombra della sua camera. Non ha voglia di alzarsi dal letto per andare a tirar su le tapparelle, e la luce artificiale le dà fastidio. Sente la madre che traffica in cucina. Abita ancora con lei, nonostante abbia superato i quaranta. Del resto, con il suo misero stipendio non potrebbe permettersi un appartamento decente, soprattutto a Milano. È stata una sua scelta rinunciare al dottorato di ricerca che le avevano proposto dopo la laurea, non aveva nessuna voglia di continuare gli studi e tentare la carriera universitaria. Ora lavora come segretaria part-time presso lo studio di un avvocato: nessuna responsabilità di rilievo e un sacco di tempo libero ma, d’altro canto, il salario è piuttosto basso.

«Ti ho preparato la merenda». Daniela è così assorta nei suoi pensieri da non accorgersi che la madre è entrata nella stanza con un vassoio in mano. Senza aspettare il permesso, appoggia sulla scrivania il servizio da tè Wedgwood. 

«Che buio qua dentro. Come fai a leggere?» Accende la lampada sullo scrittoio e apparecchia. La tazza, così come il resto del servizio, è in blu pastello, colore distintivo del marchio britannico. Versa la bevanda fumante e dispone con cura il vasetto di miele e i biscotti. 

«Mamma, non sono più una bambina. Potevo fare da sola». Daniela non riesce a mettere a fuoco: il paralume acceso le abbaglia la vista, la luce di quella lampada è troppo forte. Gliel’ha comprata la madre al suo ultimo compleanno, convinta che avrebbe impreziosito la camera, rendendola più luminosa. Si tratta di un oggetto di design: una Bourgie di Kartell. A Daniela non piace per niente quel pezzo di plastica inutilmente costoso, ma non glielo ha mai confessato per paura di offenderla.

«Oh, ma mi fa piacere, tesoro». Strizza per bene la bustina di Earl Grey e l’appoggia sul piattino sotto la tazza. «Davvero» aggiunge, dopo una breve pausa. Nonostante il tono di sua madre sia gentile e pacato, le trasmette una sensazione fugace di disagio. Come quando cerchi di ricordare un sogno ma ti sfugge il contenuto, lasciandoti la percezione di esserti persa qualcosa di importante.

Daniela abbandona il libro sul letto, si alza e prende posto alla scrivania. Così vicina, la lampada le ferisce gli occhi con la sua luce tagliente, ma non la spegne. La madre ha preso l’iniziativa di aggiungere il miele alla bevanda con un cucchiaino, per poi appoggiarlo su un porta bustine di tè in ceramica. Invece di congedarsi, rimane in piedi di fronte a lei e la guarda.

«Sto per uscire» dice, dopo una lunga pausa di silenzio. «Volevo ricordarti la cena di stasera». Un cenno di sorriso le assottiglia le labbra e i muscoli intorno agli occhi tradiscono una leggera tensione. 

«Mamma, è proprio necessario?» Daniela si ricorda perfettamente della cena, ma nutriva l’inutile speranza che venisse disdetta all’ultimo. «Lo zio vorrà offrirmi il solito lavoro nella sua azienda…»

«Già, ma ogni volta dici che ci penserai su». Si torce le mani in modo nervoso. «Ma non prendi mai una decisione» insiste in tono petulante. 

Daniela non ha nessuna intenzione di accettare la proposta dello zio, ma rimanda in continuazione per timore della reazione della madre. Lei spera ancora si trovi un’occupazione all’altezza della sua costosa e lunga preparazione accademica. 

«Il mio lavoro mi piace» sussurra, senza guardarla in viso. Fissa Il cucchiaino sul porta bustine di tè. È coperto dai residui appiccicosi del miele.

«Ma con quello che guadagni lì, non riuscirai mai a comprarti un appartamento come si deve» brontola, alzando il tono. «Vuoi passare tutta la vita con la tua anziana madre? Tua sorella Simona è più piccola di te, eppure ha già una famiglia e un lavoro più che dignitoso». Ora la voce sembra più un lamento stridulo. 

«Vuoi dire che il mio non lo è?»

«Non mettermi in bocca parole che non sono mie» risponde, stizzita. «Mi preoccupo per te. Desidero solo il meglio per le mie figlie». La madre comincia a sfoggiare quel suo tipico sguardo da vittima sacrificale. Daniela mescola il tè con un cucchiaino e poi lo appoggia a ridosso della bustina raggrinzita. Il sudore ambrato dell’Earl Grey travasa dal piattino.

«Mamma, io sto bene così». Daniela vorrebbe portarsi la tazza alle labbra, ma le mani le tremano. Non vuole farla accorgere che si sta innervosendo. L’ultima discussione che hanno avuto sullo stesso argomento è stata impegnativa. Alla madre è salita la pressione e poi si è lamentata con Simona, piangendo al telefono. Sua sorella, quella brava, quella con un lavoro e una famiglia perfetti, gliel’ha rinfacciato per più di una settimana, quando non aveva fatto altro che confidare alla madre i suoi desideri. Non aveva neanche alzato la voce, con lei non lo fa mai. 

Segue un silenzio ingombrante, come una valigia piena di sassi.

«Sei così testarda». Le parole le escono come un sibilo. «Per una volta, non puoi ascoltarmi? Dopo tutti i sacrifici che ho fatto per te… Io vorrei solo che tu abbia una vita serena, senza preoccupazioni. Che tu possa permetterti oggetti come questi». Nel dirlo, indica la Bourgie accesa e poi riprende a tormentarsi le mani con tale forza da sbiancarsi le nocche.

«Mamma, ti prego…» Daniela si accascia contro lo schienale della sedia.

«Potresti sforzarti di accettare dei compromessi, non sei più una ragazzina». Il tono è diventato sprezzante. 

Con la coda dell’occhio Daniela guarda la finestra, rammaricandosi di non averla aperta. Si sente soffocare. Poi, abbassa di nuovo lo sguardo. Una mosca è rimasta intrappolata sul cucchiaino sporco di miele. Afferra con entrambe le mani il bordo della scrivania e stringe forte le labbra. 

Cosa dovrebbe dirle? Che accettando quel posto trascorrerebbe la sua esistenza a lavorare senza un attimo di tregua, per trovarsi alla pensione con un Rolex da collezione e un cancro nuovo di zecca, come è successo al padre? Socchiude la bocca e sospira, ma le esce una specie di rantolo.

La madre abbassa le braccia, lasciandole cadere lungo i fianchi. Poi, solleva una mano e l’adagia sul petto. Resta qualche attimo immobile davanti a lei, in attesa. Alla fine, si precipita fuori dalla stanza. Dall’ingresso proviene un frastuono di oggetti che sbattono. La porta di casa si chiude con violenza. 

Daniela punta i gomiti sulla scrivania, ai lati della tazza di tè, prendendosi la testa tra le mani. Chiude gli occhi e respira in maniera affannosa. Non è tristezza, quella che sente. La tristezza la sa riconoscere. Si tratta di qualcosa di più feroce, qualcosa che è rimasto sopito per tanto tempo e che, risvegliandosi, freme per liberarsi. Come l’acqua del mare, che si ritira in silenzio, prendendosi il suo tempo, per poi schiantarsi sulle rocce con l’impatto di un’esplosione.

Quando solleva le palpebre, la luce della lampada le ferisce di nuovo gli occhi. La Bourgie di Kartell la sta fissando, deridendola.

«Che cazzo guardi?» sbotta Daniela, sporgendosi in avanti. La Bourgie non risponde, ma il suo paralume plissettato la squadra con arroganza. 

«Io faccio quello che voglio. Chi cazzo credi di essere, eh?»

Le curve di policarbonato, che si atteggiano a cristallo, vibrano di rimando. Daniela tira una manata sulla superfice dello scrittoio. Il colpo fa vibrare il cucchiaino con sopra il miele. La mosca si dimena. 

«Non vali niente» sibila, tra le lacrime. «Se non fosse per il tuo nome, saresti solo un pezzo di plastica insignificante». La luce della Bourgie tremola. 

Daniela si avventa su di lei e l’afferra, staccando il cavo elettrico dalla presa. Si ferma a guardarla con aria di sfida, stringendo tra le mani il supporto della lampada.

«Non sei più così altera, adesso che sei spenta, eh?» La solleva e la scaraventa dall’altra parte della stanza. 

La Bourgie giace a terra, rotta. Daniela fa un profondo respiro e si abbandona sulla sedia. Guarda con soddisfazione la scrivania liberata dall’ingombro di quell’ipocrita di merda. Nota che il grumo di miele si è sciolto. La mosca è sparita.


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