Cammini in testa alla processione lungo il viale fiancheggiato dai cipressi. La chiesa è avvolta nella penombra, e vedi solo le candele che tremolano in lontananza, come gli occhi gialli di una moltitudine di gatti.
Che idea del cazzo hai avuto a organizzare il tuo funerale così tardi. D’inverno il sole tramonta presto, e a quest’ora sembra che sia già calata la notte. Percorri la strada fino al portone della cappella, con amici e parenti al seguito; parlano di te a bassa voce, come se tu non ci fossi già più.
Hai solo sessant’anni e ancora tante cose da fare. Non ti sembra giusto dovertene andare così presto.
Entri.
L’odore forte dell’incenso è soffocante. Se sei fortunato schiatti per asfissia prima che arrivino le due di notte, così non devi aspettare la fine nel tuo letto, come una salma del cazzo.
Percorri la navata e ti fermi davanti all’altare. Segui la funzione, mostrando grande contegno e dignità. Sei in piedi davanti al pulpito; un imputato in attesa di giudizio. Con la coda dell’occhio noti qualcuno che arriva in ritardo e si siede in prima fila, accanto alle tue sorelle. È una donna. Sei curioso, e ti giri. Non l’hai mai vista prima. Indossa un abito nero con una profonda scollatura sul davanti. Pensi che non sia l’abbigliamento più consono a un funerale, ma non puoi far a meno di apprezzare lo spettacolo dei suoi seni in bella mostra. Lei ricambia lo sguardo. Ha due splendidi opali al posto degli occhi, incastonati in un viso di alabastro. Il prete tossicchia richiamando la tua attenzione.
Al termine della funzione ti vengono tutti incontro, per l’ultimo saluto. C’è chi ti prende a pacche sulla spalla senza neanche guardarti in faccia, e chi scoppia a piangere, e ti tocca pure consolarli. Qualcuno si azzarda a proporre una cena o un’ultima bevuta. Tu glissi. “Mi devo preparare” è la tua scusa. Finalmente se ne vanno.
Vuoi stare da solo. Sali in macchina e parti. Ti è sempre piaciuto guidare di notte. Mentre percorri la statale senza una meta, vieni attratto dall’insegna di un autogrill e decidi di fermarti.
Prendi un toast e una tazza di caffè bollente e ti siedi a un tavolo. Ti viene l’acquolina in bocca a sentire il profumo del pane tostato e del formaggio fuso. Mangi il toast, assaporandolo come se non lo avessi mai assaggiato prima. Cingi con entrambe le mani la tazza, chiudi gli occhi, aspiri l’aroma del caffè e ti abbandoni al suo calore. Ti senti vivo.
Stamattina, appena sveglio, eri arrabbiato e avevi paura. Ora non più. Anche l’ultimo brandello di ansia si è dissolto. Tutto sommato, è un modo dignitoso di andarsene. Sai già quando accadrà, e ti prepari. Una volta terminata la funzione avevi previsto di tornartene a casa, strafarti di valium e alcol, e aspettare che la morte ti prendesse nel sonno.
Fanculo! Preferisci sentire la vita che pulsa dentro di te fino all’ultimo.
Quando riapri gli occhi, la donna con il decolté da paura è di fronte a te. I suoi occhi scuri si soffermano a lungo sul tuo viso.
«Sono quasi le due». La sua voce è miele che si deposita languido sulle parole.
Tu non rispondi. Per un attimo rimani spiazzato. Poi, realizzi.
«Ho ancora un po’ di tempo, no?»
Lei sorride. La sua bocca è sensuale e ti viene voglia di baciarla.
«Cosa vuoi fare in questa mezz’ora?» ti chiede con fare seduttivo.
Ti vengono in mente mille modi di trascorrerla con lei, ma mezz’ora non è poi tanto tempo.
Ti rivolge uno sguardo penetrante, come se sapesse a cosa stai pensando.
«Una passeggiata» dici alla fine. «Vorrei fare una passeggiata».
«Allora, andiamo» dice lei, e ti chiama per nome. Ti avvii alla porta a vetri e lei ti segue.
Esci.
Prendi una boccata d’aria a pieni polmoni, poi espiri una nuvola di fiato che subito si disperde. La donna ti si affianca e ti prende per mano. Vi avviate insieme verso l’area verde che costeggia il parcheggio. Sai che sarà una traversata senza ritorno.
Intravedi la tua auto parcheggiata. Non ti interessa che fine farà. Non ha più importanza.
Passeggiate mano nella mano, inoltrandovi nel buio del parco, con calma. Come se aveste tutto il tempo del mondo.
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